9 Domande di Maura Bonelli a Pierluigi Cattaneo durante la mostra Strutture verso il cielo presso la galleria b-gallery di Roma nel 2010
Come è nato il suo amore e il suo approccio all’arte? Ci sono stati “momenti forti della vita” o persone che hanno rappresentato per lei, da un punto di vista artistico, una svolta?
L’arte è una passione che mi porto dentro da sempre. Sin da piccolo ho avvicinato colori e tavolozza attraverso gli acquarelli del nonno materno e il mio primo ‘quadro’ risale all’età di otto anni. Tita Mozzoni, Ottorino Garosio, Beppi Mino e altri artisti bresciani del primo novecento che ho avuto la fortuna di incontrare da giovanissimo hanno facilitato ulteriormente il mio incontro con l’arte, ma sicuramente fondamentale è stato l’incontro/scontro con Ken Damy, docente dell’Istituto d’Arte, che mi ha dato le basi per una nuova prospettiva artistico-culturale in chiave contemporanea che partendo da un figurativo classicheggiante mi ha proiettato dentro una visione cubista prima e futurista poi e da lì nasce, si sviluppa e si trasforma poi tutta la mia produzione pittorica e scultorea.
Da dove o da cosa trae ispirazione? Quanto conta la passione e l’amore per il “lavoro d’artista”?
L’ispirazione mi viene dal quotidiano, soprattutto da tutte le componenti che promuovono e generano vita: il grembo materno, l’organo genitale maschile, l’uovo. La donna è stata per molti anni ispiratrice di molte mie opere scultoree, ma anche i sentimenti umani che ruotano attorno allo svolgersi del giorno: il dolore, l’attesa, l’umana essenza di Cristo, la cristianità. Le tensioni che nelle forme plastiche mozzavano teste o scavavano grembi sono piano piano passate a tensioni verso l’alto, passando attraverso il doloroso percorso piramidale di una sofferenza che ha bisogno di ali per librarsi sempre più su, verso altri cieli, fino a diventare parallelepidi protesi al cielo su cui lasciare segni di umanità – seni, donna in attesa, parti di palazzi o chiese – come grida laceranti di testimonianza e di vissuto.
Non si può essere artisti se mancano passione e amore per questa materia che ti chiama a plasmarla, a scalfirla, a possederla, a renderla tua nella nuova creatura che ogni volta tu generi/partorisci.
Lei utilizza materiali semplici, di uso comune, a volte grezzi (plastica, cartone, legno, ecc). Perché questa scelta? Cosa trova in questi materiali, nel movimento e nelle ombre che creano sulla tela?
I materiali sono un linguaggio, un mezzo di comunicazione, a volte un’armonia che concilia la sofferenza ispiratrice con l’estetica. C’è nelle mie opere, anche in quelle pittoriche, il bisogno di plasmare quasi a ripetere quel gesto divino della creazione dell’uomo. I piani si sovrappongono così ad altri piani, le tele alle tele, i gessi prima i cartoni poi si tendono sulla tela dell’opera quasi a nascondere o a custodire il segreto dell’opera stessa, facendolo però poi fuoriuscire in tutta la sua travolgente e coinvolgente tensione dove è dolce ‘il naufragar’ del mio pensiero.
Nelle sue tele prevalgono solo alcuni colori, quasi sempre utilizzati in monocromia: rosso, giallo, nero, bianco, grigio. Perché questa scelta? Perché non il blu, o il verde, o il viola?
Anche i colori sono un linguaggio, rappresentano l’espressività dell’anima, della passione che si manifesta dentro e fuori l’artista. A volte essi identificano un paesaggio visto ovviamente con gli occhi dell’artista, ma anche con gli occhi del bambino di Haiti sopravvissuto alla tragedia di questi giorni. Il bianco non è mai solo bianco, e lo stesso è per il rosso o il giallo o il grigio o il nero. Queste monocromie spesso nascondono un caleidoscopio di colori, di soli e di lune, di sussurri e di silenzi. Ora non è tempo di blu o di verde, chissà forse domani, ma ora è tempo di bianco e di nero, di rosso e di giallo e…di grigi azzurri e di grigi neri e di grigi e basta.
Quanto incide nella sua arte la sua terra, con la sua storia, le sue tradizioni e le sue persone?
Sempre e tanto. La mia Valtrompia con le sue montagne, le sue rocce, la sua lunga e stretta valle del fiume Mella è elemento essenziale per la mia produzione artistica. Potrei vivere in ogni parte del mondo, assaporarne i profumi, interiorizzarne i colori e i modi di vivere, ma sempre tutto poggerà sulle fondazioni formate dalla mia terra. La tenacia, la saggezza e la filosofia del vivere e del quotidiano che sono elementi costantemente presenti nelle mie opere provengono da lì insieme alla semplicità e alla gratuità della mia gente che mi ha insegnato ad apprezzarle e a renderle ‘seme di vita’ attraverso le mie opere
La sua produzione artistica è prevalentemente pittorica, ma non manca, tuttavia, anche una buona produzione di sculture. Che rapporto sussiste tra pittura e scultura? Sono le due facce di una stessa arte o esprimono concetti e idee diverse?
La produzione che ho portato a Roma è prevalentemente pittorica, ma io nasco artisticamente come scultore e l’opera pittorica spesso diventa una sintetizzazione in orizzontale della scultura stessa. Si vedano per esempio le crocifissioni , le buste della vita, ma anche l’ultima produzione più essenziale, apparentemente più pittorico/cromatica realizza una sintesi della scultura dove l’ondulazione del cartone, piuttosto che il nodo della tela sono spessore, sono volume sono tridimensione.
“Pierluigi Cattaneo conosce la fragilità dell’essere”, scrive Mauro Corradini. Dove risiede la sua fragilità? E come viene trasmessa alle sue opere?
Un artista è già di per se ‘fragile’ e quindi meglio ha la percezione della ‘fragilità’ della vita, dell’uomo, cioè di quel ‘male di vivere’ che tanto bene descrive Montale in Ossi di seppia. Io non sono estraneo a tutto questo. Se da un lato ci sono armonie cromatiche liberanti e dolcemente coinvolgenti all’altro si insidiano disarmonie espressive laceranti paragonabili ai tagli di Fontana, all’Urlo di Munch. Scusate se mi paragono a due grandissimi e universali Maestri, ma dentro di me soprattutto quando sono nel travaglio di un’opera è come se si attuasse una dissociazione del mio essere e nella danza delle sensazioni e dei sentimenti, nell’emersione del mio subconscio l’opera prende forma, si materializza, partorisce dalle mie viscere di madre infeconda.
Le linee sinuose e dolci di un corpo femminile, di morbide labbra, l’incontro di curve anatomiche indefinite ma tremendamente sensuali: “non è difficile scorgere nella sottolineatura l’attrazione, l’emozione personale, la passione sulle soglie dell’erotismo”, aggiunge il critico Corradini. Molte delle sue opere esprimono una forte tensione erotica. L’eros per lei è curiosità, morbosità, amore, o cos’altro? In che misura la sensualità ispira il suo lavoro e quanto è importante nelle sue opere?
L’eros è parte essenziale della vita, ma l’apparente morbosità che si legge nelle mie opere dove con l’insistenza “dell’uomo del monte” mi trovo a ripetere ripetere ripetere sinuosità femminili, morbide labbra, dolcissime e travolgenti curve è un inno alla vita, dall’inizio alla fine, dentro e fuori il corpo umano, in un perpetuo gesto di amore che l’umanità da sempre compie nell’infinito gesto divino di dare continuità alla specie umana. Io amo e amo sempre e amo la vita e la donna e l’uomo e il bambino, amo il cane e il gatto, il pesce e il cardellino, il fiore di gelso e la viola, amo perché questo è il vero senso del vivere e la risposta al ‘male di vivere’ o a quel dolce naufragar in un infinito mare di solitudine e di silenzio.
Lei ha intitolato questa mostra “Strutture verso il cielo”, all’interno della quale prevalgono tanto la struttura verticale – come progetto d’apertura verso un mondo “altro” -, quanto la struttura orizzontale, da parete, a significare il limite dell’andare incontro proprio a questo “altro”. Può sintetizzarci questa tensione, e il significato che assume per lei?
C’è in questa mostra un ritmo, un moto perpetuo che la pervade e che rappresenta il modus vivendi dell’uomo. Ma c’è anche la tensione che lo caratterizza e che per me volge sempre verso l’alto, verso l’entità superiore, verso Colui che realizza l’ordine delle cose. Affido alle parole di Nietzsche la spiegazione del significato che secondo me assume questa tensione:
“Il carattere complessivo del mondo è il caos per tutta l’eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, di articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane…”
Concludo suggerendo di leggere la mia produzione artistica come ‘soggetto’ che tende all’alto per arrivare all’Altro, in un ciclo virtuoso e perpetuo, irraggiungibile nella sua immobilità astrale eppure percepibile dentro la tempesta di emozioni che scatena dentro qualsiasi soggetto fruitore capace di abbandonarsi all’incoscienza del gioco dell’essere.