Attraverso alcune forme strutturale, che giungono al giro di boa dei due secoli, va collocata la ricerca di Pierluigi Cattaneo, la cui poetica vive congiuntamente con la tensione iconografica della pittura, da cui viene distaccandosi progressivamente.
Anche Cattaneo ha iniziato il cammino con la pittura e con la pittura figurativa in modo specifico, da cui si è svincolato rapidamente, nel decennio fine settanta/inizio ottanta, mantenendo in sottotono una memoria di figure, che fungono da riferimento espressivo.
Il distacco dalla pittura è il volano per la scelta di un’immagine non iconografica, anche se non immediata. Inizialmente infatti Cattaneo non abbandona del tutto la figura, che appare per forme contorte e strutturalmente bloccate, ad esprimere un disagio interiore; la contrazione fisica dei suoi personaggi diviene una sorta di “camicia di forza” tesa a frenare ogni slancio dei protagonisti (soprattutto figure femminili) delle composizioni plastiche.
L’uscita dalla pittura, la distanza sempre più evidente (si pensi ad un’opera come Attesa) dall’iconografia, cui si viene aggiungendo una notevole attività di performer in simposi internazionali, costituiscono il sostrato della sua successiva scelta espressiva, la base della sua scelta recente. Quasi di colpo, all’inizio del nuovo secolo, in Cattaneo emerge la riscoperta della forma plastica, che si declina con la libertà nell’utilizzazione di nuovi materiali.
Decisa emerge la potenzialità insita in una forte verticalità, egualmente decisa e definitiva esteticamente la scelta rigorosa di forme astratte: nascono gli ultimi parallelepipedi, che ricordano i grattacieli (ma una memoria ancora attuale li conduce forse a sbrecciarsi e decomporsi), nascono figure emozionate da una proiezione verticale che si suppone illimitata.
Scenografica se vogliamo, con un accento rappresentativo che allude ad uno spazio ampio.
In questa nuova accentuazione che scardina le sue stesse logiche praticate, diviene distintiva la scelta dei materiali: ferro, ottone, ma anche cartone, cartone pressato, pareti che ricordano il cartongesso o le mille strutture leggere di un’industria del contenitore, sempre più invasiva. Attraverso il gioco delle cromie lievi e degli incastri, attraverso le superfici metalliche, con gli ossidi e le relazioni coloristiche tra i diversi spessori (cartoni, nidi strutturali dei materiali di sintesi, ma anche accostamenti tra metalli diversi, ferro e ottone), tutto sembra ricondurre la forma plastica alle radici di un’energia ascensionale. La forza dell’astrazione alleggerisce l’immagine plastica, che diviene trascrizione di una espressività che si manifesta per rapidi passaggi a contrasto, in cui la sbrecciatura perde il suo connotato descrittivo, ma diviene funzione puramente espressiva: siamo al paesaggio urbano delle megaiopoli moderne, riscritto per inserirlo in un limitato contesto.
(Mauro Corradini 2007)